Dai sobborghi di Seattle per conquistare il mondo attraverso
una musica apparentemente semplice, acustica e dolcissima. Si
potrebbe semplificare in queste poche parole la carriera dei
Fleet Foxes (creatura nata dalla mente di Robin
Pecknold e Skyler Skjelset, amici
e compagni di scuola sin dall’infanzia), probabilmente
la band più importante in ambito folk uscita negli ultimi
dieci anni di storia musicale.
Con solo due album all’attivo, il folgorante esordio
omonimo del 2008 ed il più recente, uscito ad inizio
Maggio, intitolato Helplessness Blues, questa band
americana ha riscritto completamente le regole della musica
folk aggiornandola senza dimenticare le basi che abitano nei
dischi di Bob Dylan, Neil Young
e Brian Wilson. Quello che ha lasciato di sasso
tutti, critica e pubblico, è la coralità quasi
meditativa che si ritrova nelle composizioni di questa straordinaria
formazione che, attraverso suoni delicati e raffinati, narra
storie e racconta la vita di tutti i giorni in una maniera spiazzante
e magica. Con una coralità d’insieme sorprendente,
testi raffinati quanto riflessivi, i Fleet Foxes creano
atmosfere inimitabili per fascino e ricerca; raccontano con
la musica un mondo dove nulla spicca o ha maggiore spazio ma
tutto è bilanciato nella sua impalpabile fragilità.
La musica dei Fleet Foxes dipinge paesaggi commoventi fatti
di spazi aperti vastissimi, pacifici, dove a dolci colline verdi
si alternano strade sterrate che si perdono nelle campagne americane.
Non è un caso che spesso il folk-rock di questa formazione
venga definito come “rurale” e che l’immagine
che il gruppo diede (soprattutto agli esordi) era quello della
classica formazione indie-folk con cappelloni a falda larga
e barba lunga.
Dopo aver pubblicato in sordina il primo album – semplicemente
intitolato Fleet Foxes – per la Sub Pop, la musica
della band arriva alle orecchie di Simon Raymonde,
proprietario dell’etichetta inglese Bella Union, che decide
di pubblicare il disco in Europa intuendo le potenzialità
del suono anni ’60 e ’70 che ricorda molto il folk
britannico di Donovan, Fairport Convention,
Nick Drake oltre che le ovvie basi sonore di
“americana”. Ed è ora che il disco, prodotto
con le sole finanze della band stessa, esplode come fenomeno
in tutto il mondo. Merito di un singolo che unisce il folk,
il rock ed una impeccabile melodia pop, è White Winter
Hymnal che diventa da subito una hit planetaria. Basta
questo perchè il fenomeno Fleet Foxes esploda e raggiunga
il mondo intero con concerti esauriti ovunque, festivals che
fanno a gara per accaparrarseli e ovviamente le vendite del
disco che decollano facendo del loro esordio addirittura disco
d’oro in UK. Ma Fleet Foxes non è solo quel singolo,
tutto il disco d’esordio è davvero “in stato
di grazia” e sono tanti quelli che si innamorano delle
atmosfere genuine, acustiche e raffinate del combo di Seattle
ed è così che il disco diviene un vero e proprio
caso internazionale, eletto disco dell’anno per un numero
incalcolabile di magazines e siti internet, tra cui spiccano
Billboard, Mojo e naturalmente l’influentissimo Pitchfork.
Uscito nella seconda metà del 2008, Fleet Foxes ha creato
grandissime attese per il suo successore arrivato a maggio 2011
con il titolo Helplessness Blues, che conferma quanto
di ottimo la band ha messo in mostra nel precedente lavoro in
studio. Questo nuovo disco mostra una ulteriore maturazione
compositiva del gruppo che non abbandona i territori nostalgici
e rurali che tanta fortuna e fama gli hanno fatto guadagnare,
ma anzi rende la sua miscela ancora più organica e compatta
grazie ad una maggiore ricercatezza negli arrangiamenti e nei
particolari, come l’utilizzo di violini, vibrafoni, fiati.
Il risultato è un disco folk-pop sincero in cui la semplicità
non è altro che la concreta padronanza dei propri mezzi
e la costante voglia di rendere sempre migliore la propria arte.